Raccontare com’è nata l’Associazione Bandeko ODV è molto emozionante perché si rivivono le stesse sensazioni di anni fa, quando, tra entusiasmo e timore, abbiamo iniziato questa avventura. Un preambolo è necessario per spiegare da dove nasce l’idea di volgere la nostra attenzione ad un villaggio della Repubblica Democratica del Congo, Paese così lontano e di cui si parla troppo poco. Brevemente vediamo i motivi per i quali questa nazione ha difficoltà e contraddizioni amplificate al massimo.

Breve storia del Congo

I problemi del Congo nascono soprattutto dalla sua enorme ricchezza mineraria, che l’ha reso preda ambita di tante potenze. Viene colonizzato dai Belgi, che ne sfruttarono le ricchezze, senza che questo portasse alcun giovamento alla popolazione locale. Fu addirittura considerato proprietà personale del re del Belgio, Leopoldo II, nel 1885. Nel 1908 diventò colonia belga a tutti gli effetti.

Il Congo ha ottenuto l’indipendenza dal Belgio nel 1960, ma i governanti che si sono alternati al potere sono stati altrettanto terribili. Dopo un periodo di instabilità politica, nel 1965 il comando dello Stato fu assunto dal dittatore sanguinario Marshall Mobutu, dando inizio ad una dittatura estremamente corrotta che durò per oltre 30 anni.

Nel 1997 l’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione, guidate da Laurent Kabila, conquistano Kinshasa, rovesciando la trentennale dittatura di Mobutu, creando un Governo di salvezza pubblica e rinominando il paese Repubblica Democratica del Congo. Nel 1998 però ribelli Tutsi da una parte, organizzati in gruppi armati fiancheggiati da soldati ruandesi, ed il Movimento per la Liberazione del Congo, fiancheggiato da forze armate ugandesi dall’altra, hanno ingaggiato una dura lotta contro le forze fedeli al presidente Kabila, spalleggiato a sua volta da Angola, Namibia e Zimbawe. La ragione di quella che è definita come “guerra mondiale africana” è molto semplice: il controllo dei ricchi giacimenti di oro, diamanti e coltan del Congo orientale Solo nel 1999 fu raggiunta una tregua, senza che i combattimenti cessassero del tutto, particolarmente nella regione del Kiwu.

Nel 2001 viene assassinato Kabila e gli succede Joseph Kabila, di origini ruandesi. Il nuovo Presidente viene rieletto tramite elezioni nel 2001, nel 2006 e nel 2011. Ma le elezioni sono solo apparentemente democratiche. In corrispondenza ad ogni elezione ci sono accuse di brogli, scontri e tensioni. In questo lungo periodo si registrano frequenti violazioni dei diritti umani, violenze e torture, oltre a crescenti restrizioni della libertà di stampa.

Per il Paese continua la Via Crucis. La povertà aumenta, le infrastrutture mancano. La carenza di strade, non solo asfaltate, ma semplicemente di terra battuta in buono stato fa si che manchino i collegamenti (la ferrovia è solo sulla carta) e il Paese resta in uno stato di arretratezza che aumenta il divario tra i villaggi ed i centri urbani. A Kinshasa, capitale del Congo, manca l’acqua potabile e la corrente elettrica funziona relativamente per periodi limitati di tempo e non per tutta la popolazione. Alto è il tasso di disoccupazione e questo favorisce la violenza: la popolazione vive in media con meno di 1$ al giorno.

Anche in questo caso si tratta di una vera e propria dittatura con gli stessi personaggi al potere che si arricchiscono sempre di più a discapito del popolo. Nella parte orientale del Paese, ricca di risorse naturali quali oro, coltan, ecc (Kiwu) non sono mai finite le violenze ed i massacri della popolazione, soprattutto delle donne, usate come arma di guerra.

Nel dicembre 2016 alla scadenza del secondo e ultimo mandato di Kabila, avrebbero dovuto essere indette nuove elezioni. Purtroppo si assiste invece a svariati tentativi di mantenere il potere. Mediante la Conferenza Episcopale Congolese è stato siglato l’accordo di S.Silvestro (31/12/2016) tra la classe politica e gli oppositori che però non è stato rispettato dal governo. Numerose le manifestazioni pacifiche per ottenere la democrazia sono state represse nel sangue, alcuni oppositori sono stati arrestati e costretti all’esilio. Si assiste nel frattempo alla realizzazione di vere e proprie zone dove la violenza è la regola, volute per creare insicurezza e per non consentire il regolare svolgimento delle votazioni.

La conseguenza di questo clima di paura e confusione è stata la scoperta nel 2017 di un centinaio di fosse comuni nella provincia del Kasai centrale. Finalmente nel dicembre 2018, dopo l’estremo tentativo di mandare all’aria nuovamente le elezioni con un incendio che ha distrutto il materiale elettorale, la comunità internazionale ha appoggiato le forti pressioni interne al Paese perché si procedesse a regolari elezioni. Attualmente il Presidente della Repubblica Democratica del Congo è Félix Tshisekedi, esponente del più grande partito di opposizione da Mobutu fino a Joseph Kabila. La commissione elettorale però, corrotta dal Governo precedente, ha attribuito la maggioranza parlamentare alla “famiglia politica” di Kabila, in modo tale da indebolire il programma politico del nuovo presidente. I risultati delle elezioni presidenziali sono stati contestati, ma infine riconosciuti validi dalla Corte Costituzionale Congolese e Tshisekedi ha iniziato il suo difficile mandato, alimentando le speranze del popolo che vuole il cambiamento.

La guerra che ha imperversato dal 1996 è una delle più cruente ed ha causato  più di 5 milioni di morti e sofferenze infinite. Denominata “guerra mondiale africana”, è stata praticamente ignorata dai media ed è quindi sconosciuta all’opinione pubblica. A causa della caotica situazione e della grande corruzione a livello governativo ed amministrativo, la Repubblica Democratica del Congo occupa una delle posizioni più basse nell’indice di sviluppo umano.

Il nostro incontro con don Anacleto

Nell’estate del 1999 incontriamo (e nulla accade per caso) un prete congolese temporaneamente a Roma per completare gli studi biblici. Viene a Genova perché il nostro Parroco aveva chiesto un aiuto per il periodo estivo: ed è così che arriva tra noi don Anacleto Mbuyu. Da subito lo stimiamo per la sua disponibilità, sensibilità e dignità. Da lui impariamo a conoscere meglio il suo Paese d’origine, la Repubblica Democratica del Congo, stato dell’Africa subsahariana, dove vivono, o meglio sopravvivono, 54 milioni di persone. Si tratta di un Paese ricchissimo e per questo vittima dello sfruttamento da parte di altre nazioni. Ingenti sono le sue risorse: oro, rame, diamanti, coltan, uranio.

Don Anacleto proviene da una delle province orientali, quelle forse maggiormente colpite dalle dittature e ingiustizie precedentemente descritte, e più precisamente dalla città di Kabinda. In quella terra si è consumata una tragedia immane: uccisioni, soprusi e violenze, unite a fame e malattie decimano l’inerme popolazione. Per molti di noi è sempre più chiaro che non si può stare con le mani in mano e che bisogna far qualcosa di concreto, anche se piccolo, per chi sta soffrendo e morendo nell’indifferenza più assoluta.

Veniamo a sapere che tutto ciò che don Anacleto riceve durante i suoi soggiorni genovesi viene trasferito immediatamente in Congo a favore della sua gente. Si riesce così a costruire una capanna dove trovano rifugio bimbi, orfani di uno o entrambi i genitori, accuditi con impegno da volontari locali.

Nel 2002 Anacleto rientra nel suo Paese. Porta con sé i soldi che derivano dalla rappresentazione di uno spettacolo teatrale messo in scena da un gruppo della nostra parrocchia, che ha voluto chiamarsi “Baninga”, cioè “Amici” in dialetto lingali: potrà così comprarsi una jeep, indispensabile per spostarsi tra i villaggi della savana, sprovvista di strade asfaltate.

La jeep è al servizio di tutti: ci commuove sapere che è servita a salvare due vite: una mamma incinta, in grave pericolo di vita, e il suo piccolo. Grazie alla jeep sono stati trasportati nel più vicino centro sanitario e hanno così potuto ricevere cure adeguate e aver salva la vita. Sapere che a tanti chilometri di distanza c’è qualcuno che pensa a te e cerca di dimostrartelo con piccoli gesti concreti può far rinascere la speranza. Da episodi simili inoltre si può trarre forza per riprendere a combattere per una vita più dignitosa.

I bimbi che abitano nella “Maison Anaclet” vengono tutti adottati nel tempo con una spesa annua di 300 euro ognuno: in questo modo si assicura loro un minimo per sopravvivere e studiare.

Nell’estate 2004 torna a trovarci il nostro fratello Anacleto. Timidamente si fa strada l’idea di un progetto con quattro obiettivi distinti nell’ottica di promuovere la ripresa di questi fratelli e di consolidare in loro la certezza che qualcuno non li dimentica.

Nel gennaio 2005 parte un container che contiene abbigliamento, attrezzi agricoli, pannelli solari, giocattoli, materassi e tantissime altre cose il cui elenco dettagliato sarebbe troppo lungo e che giungono tutte a destinazione, anche se dopo non pochi problemi. La nostra promessa è stata mantenuta e il 31 gennaio 2006 arriva Monsignor Valentin Masengo, Vescovo di Kabinda, che si ferma da noi cinque giorni. Scopriamo in lui una persona splendida che da subito ci sembra di aver sempre conosciuto. Esordisce dicendo che ha avuto modo di sapere che abbiamo voluto e vogliamo tanto bene ad Anacleto che è come suo figlio; è stato lui ad ordinarlo sacerdote, è stato lui ad inviarlo a Roma perché completasse gli studi biblici.

Il bene che abbiamo voluto ad Anacleto è come se lo avessimo voluto a lui. Dopo un lunghissimo applauso si stabilisce un affetto profondo anche nei suoi confronti. Monsignor Masengo però non viene a mani vuote; ci porta un regalo importante e prezioso per la sua gente ma anche e soprattutto per noi. È il progetto di HO.BO.SAM. (Hospice du Bon Samaritain), un polo ospedaliero che, una volta completato potrà accogliere 150 persone. Verrà costruito a Munyenge, località a 60 km da Kabinda, e servirà popolazioni di villaggi in un raggio di circa 150 km.

Inviato il primo container, conclusa la costruzione della casa in muratura per i bambini (Maison Doria de l’Enfant Jus) e allestita la sartoria “Struppa Mode”, termina la 1° puntata del nostro sogno congolese.

La seconda puntata ha un obiettivo più impegnativo, ma non bisogna smettere di sognare. Nasce l’idea di costituire una ODV e mentre nell’arco di pochi mesi questa si concretizza, i nostri fratelli (bandeko) congolesi rispondono con altrettanto impegno e ad agosto hanno già realizzato 20000 mattoni per dar vita ad Ho.Bo.Sam. (i mattoni vengono realizzati da loro uno alla volta).
Ma è proprio vero che il sogno resta tale se si è soli o in pochi a sognare, ma se a sognare si è in tanti può diventare realtà. Per questo continuiamo a contare su di te e facciamo nostre le parole di don Anacleto:

“ …siatene convinti, non scriverò mai le migliori pagine della mia vita senza di voi. Siccome non sono capace di niente, Colui che è Onnipotente fa e farà tutto per me su di voi, ogni volta che celebro il Corpo e Sangue del Suo Figlio.”